“Hard Rock Café” di Marco Corso, Liceo Scientifico Tosi di Busto Arsizio

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La sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo che decreta la rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche ha avuto un effetto a dir poco miracoloso: una conversione di massa!
I giudici di Strasburgo sono meglio dello Spirito Santo; dopo la loro sentenza scopriamo che circa il 90% degli italiani sono animati da una profonda fede e quindi contrari alla rimozione della croce dalle aule scolastiche.
La Corte andrebbe ringraziata!
Grazie a lei, da oggi, in pieno spirito cristiano, non dovremo più sentir parlare di razzismo, discriminazione, barconi di migranti respinti come pacchi, campi nomadi dati alle fiamme o omosessuali pestati a sangue.
Che bello!

Ma mentre aspettiamo la conclusione di questa magnifica conversione, cosa ne facciamo di quei 2 bastoncini di legno perpendicolari appesi di fianco alla lavagna?
Andrebbero semplicemente tolti. E il motivo è questo: il crocifisso “viola la libertà di religione degli alunni” essendo un “simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo” e che quindi andrebbe contro al “pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica”.
Questo è quello che hanno scritto i Giudici.
Sembrano parole ovvie; il crocifisso, infatti, viene associato da tutti alla chiesa.
E invece ci sbagliamo tutti!
Nella laica Italia, destra, sinistra, centro e l’immancabile Conferenza Episcopale ci dicono che quello non è solo uno stemma religioso. La croce è un simbolo culturale, che rappresenta le fondamenta della storia e della cultura non solo italiana, ma dell’occidente intero, dicono.
La croce appesa in classe non c’entra niente con la chiesa!
Dev’essere intesa come simbolo culturale, non religioso.
E’ un po’ difficile da immaginare. E’ come se domani i produttori della Coca-Cola ci dicessero che la lattina rossa non va più considerata come una marca, ma come il simbolo di un fantomatico movimento culturale di globalizzazione.
Ci credereste o pensereste ad un’audace campagna di difesa (e diffusione) del marchio?
Ma proviamo a credere alle parole della chiesa. Proviamo quindi a pensare il crocifisso come un simbolo culturale e non religioso. Lo so che è difficile, ma proviamoci.
Bene, a questo punto potremmo condividere tutti la presenza della croce nelle aule scolastiche. Sarebbe sostanzialmente come una cartina geografica.
Ma qui sorge un problema: perché solo la croce?
Lo stesso ragionamento potrebbe (e dovrebbe) essere esteso a tutti le religioni.
E c’è di più.
Se vogliamo veramente rappresentare tutta la nostra storia, per non far torti a nessuno dovremmo appendere anche altri oggetti: una colonna di tempio greco, la lupa capitolina, lo scudo di Carlo Magno, le tavole di Martin Lutero, il cappello di Napoleone, bulloni della rivoluzione industriale, lo stemma dei Savoia, un moschetto della Prima Guerra Mondiale, una svastica, la falce e il martello, l’aquila fascista, il basco di Che Guevara, uno striscione del ’68, un disco dei Beatles, un pezzo del muro di Berlino e già che ci siamo anche un bel tricolore.
Le nostre classi sembreranno un Hard Rock Cafe, ma solo così sarebbe legittimata la presenza del crocifisso.
E invece in uno stato laico si vuole il monopolio della croce.
Qualcosa nel ragionamento non quadra; avete capito cosa?

P.S. in Italia non c’è alcuna legge che imponga di tenere i crocifissi in classe. La nostra costituzione sancisce la separazione tra stato e chiesa (art. 7), la libertà di culto (art. 19) e la libertà di espressione (art. 21). Quindi togliere il crocifisso dalle classi (riconsegnandolo alla scuola perché di sua proprietà) non costituisce alcun reato. Eventuali punizioni (o ritorsioni) sono da considerarsi del tutto illegittime.

Racconto ateo d’estate

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state, il tempo è bello (nel senso che non piove) e quindi nelle sperdute lande
dell’alto Verbano si pedala: la mia bici da passeggio, manubrio in avanti e
cambio campagnolo. Quest’oggi ho inforcato la litoranea meridionale, da
Germignaga alla Rocca di Caldè: infelice decisione, al mercoledì è trafficata
dai mercatari. Essi si spostano con un parallelepipedo di ferro dal quale
spuntano appena quattro minuscole ruote, ma che genera, non so come, una gran
quantità di mefitici fumi carboniosi: un grosso tubo di ferro sparava esalazioni
all’altezza del mio naso. Il catrame che hanno messo nel serbatoio, usciva quasi
intonso da dietro (euro meno 15), ed oltre che tingermi i capelli grigi,
induceva stati di alterazione sensoriale: ho visto una signora vestita di
bianco, con una corona in testa ed il cuore fuori dal petto. Costei si ostinava
a confidarmi segreti, dal quarto al ventisettesimo, poi svoltavo verso il colle.
Sbuffando ed ansimando mi inerpicavo verso la cima della rupe, dapprima col
veloce velocipede, poi a piedi, e perciò il catrame entrava in circolo, e vedevo
altre strane persone: uno circondato da uccellini, che schiarivano la sua tunica
marrone, un’altro ricurvo, con le mani insanguinate. Quasi in vetta incontravo
una fontanella: provvidenziale visione! Sotto con la testa, a masticare l’acqua,
come fanno i cani: l’acqua mi colava verso l’orecchio, e nera cadeva a terra.
Con le gengive congelate, e satollo di liquido vitale, mi accorgevo di uno
strano ammennicolo metallico: qualcuno aveva posto un simbolo in prossimità
della fontana, tenuto in piedi da alcuni sassi. Una statuetta, raffigurante un
uomo con le braccia aperte, ma senza legni di dietro. E mentre la signora mi
voleva raccontare il ventottesimo segreto, e gli altri due volteggiavano a
mezzaria intorno a me, ecco, d’un tratto il miracolo! Misteriosamente l’uomo con
le braccia aperte è asceso al cielo, roteando come un boomerang, verso lo
strapiombo: probabilmente sarà arrivato a tuffarsi nell’acqua del lago! Beh,
poco male, tanto quello sapeva camminare, sull’acqua, di lago.